Gianfelice Facchetti: “La monetina con l’Urss, il primo gol, la maglia di Burgnich, dopo l’Inter mio padre avrebbe voluto giocare solo nel Napoli”

Gianfelice Facchetti: “La monetina con l’Urss, il primo gol, la maglia di Burgnich, dopo l’Inter mio padre avrebbe voluto giocare solo nel Napoli”


«Amava Napoli, i suoi colori, il suo calore, ne era attratto, al punto da ipotizzare, dopo l’Inter, solo quella maglia e non lo nascondeva». Un’attrazione che si tramanda di padre in figlio quella verso l’azzurro della capitale del Sud. Gianfelice Facchetti ne parla con la dolcezza del ricordo verso il suo amato genitore che non c’è più, il grande Giacinto, icona, bandiera dell’Inter e della Nazionale.

Un vero capitano, come quelli che Gianfelice racconta nel libro appena uscito per Piemme e dove c’è ampia traccia di quell’azzurro Napoli di cui svela retroscena e aneddoti con Repubblica.

Gianfelice Facchetti, partiamo da cosa le confidò Giacinto sulla sua seconda squadra preferita…

«Mi disse che, Inter a parte, avrebbe voluto giocare soltanto nel Napoli. E ritrovai questa sua volontà in una intervista di fine carriera dove gli prospettavano altre maglie, Sampdoria in primis e lui invece ribadì che, se proprio avesse dovuto lasciare l’adorata divisa nerazzurra, sarebbe andato soltanto a Napoli. Ma c’è di più dietro questo, un mix di accadimenti e sentimenti».

Sarebbe a dire?

«Allora, siamo al San Paolo di Napoli, ancora non intitolato a Maradona, nel 1968, un 5 di giugno e l’Italia e l’Urss hanno pareggiato a reti bianche la loro semifinale. Per scegliere chi disputerà la finalissima del campionato europeo si va al sorteggio. La celebre monetina. Giacinto sceglie il lato fortunato».

Fu testa o croce?

«Testa, senza esitazioni, di una moneta da 5 franchi svizzeri e l’Italia passò. Ecco, anche quello lo legò alla capitale del Sud. E poi ancora, un gol…».

Che gol?

«Il primo gol in assoluto della sua carriera. Al secondo anno da professionista. A San Siro si gioca Inter-Napoli: l’assist è di Armando Picchi, la rete di Giacinto. Due difensori…e poi dicono che l’Inter che vinse tutto era catenacciara…E non ho finito: sa qual è l’unica maglia di club che ha conservato? La maglia azzurra di Tarcisio Burgnich, che finì la carriera all’ombra del Vesuvio e che era come un fratello per papà. Mio padre, inoltre, apprezzava molto la passione nerazzurra di molti napoletani come quelli dell’Inter club locale, che se non sbaglio all’epoca si chiamava proprio Vesuvio e con i quali era in contatto. Ma oltre a tutto questo lui, lombardo doc, era attratto dalla profonda e sofisticata cultura partenopea, da quel sentire la vita in modo differente, quel qualcosa che lo portava lontano da Milano e lo ammaliava. E anche io ho ereditato questi sentimenti. Faccio teatro e ovviamente ammiro Eduardo De Filippo, adoro Totò e Peppino, e sono un profondo cultore della musica classica napoletana».

E nel suo libro, “Capitani. Miti, esempi, bandiere”, non a caso dedica un capitolo ad Antonio Juliano.

«Era giusto e doveroso. È stato un fantastico esempio di capitano. Serio, talentuoso, mai egocentrico, ha fatto strage dei luoghi comuni sui napoletani. Uomo di poche parole e di tanti splendi fatti. Empatico, attento agli ultimi e fedele ai colori azzurri. Nel libro racconto anche queste figure che nel mio immaginario sono convinto fossero molto vicine a mio padre per stile e sobrietà. Sono affascinato da Juliano e da personaggi come lui a mio parere non valorizzati troppo, proprio per la loro umiltà e pudore nel mostrarsi».

Nel libro ci sono figure imponenti nel calcio come quella di Gigi Riva. Ma tra i vari ritratti manca un capitano speciale, Diego Armando Maradona. Una scelta?

«Maradona è stato un grande capitano ma ho fatto una scelta diversa raccontando Juliano per due ragioni. La prima: su Diego è stato scritto e aveva poco senso ripetere quello che era già stato detto. La seconda: con Juliano abbracciavo anche il fuoriclasse argentino perché si deve proprio al centrocampista azzurro il suo arrivo nella squadra che poi vinse due scudetti. E difatti nel capitolo dedicato a Juliano ne parlo diffusamente. Alla fine ho trovato un modo per non perdere Diego nelle mie pagine e accomunarlo al capitano degli anni Settanta e alla città».

A Napoli e Milano c’è il tema, molto dibattuto, degli stadi. San Siro e Maradona, cosa fare?

«C’è un po’ l’idea che sul tema calcio i Comuni debbano regalare o privarsi di una cosa che produce valore perché ci gioca una squadra. Ma un’amministrazione deve giustamente tutelare se stessa. Il caso Napoli assomiglia un po’ alla questione di San Siro. Per me il Maradona e San Siro devono continuare a essere “teatri” di calcio».

Un “teatro”, il Maradona, che avrà Antonio Conte protagonista: è l’uomo giusto per il Napoli?

«Sì, Conte è l’uomo giusto per ricostruire dopo una stagione sciagurata. Per ricominciare a vincere Antonio è l’ideale».



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